Il Nandrolone, rinvenuto nei test antidoping effettuati su molti atleti (tanto per citare qualche atleta tra i più famosi, la velocista giamaicana Merlene Ottey e lo sprinter britannico-olandese Douglas) è uno steroide anabolizzante apparso sul mercato nel 1959. E’, assieme al testosterone, l’ormone che presiede a molte funzioni biologiche riguardanti la forza, uno dei prodotti dopanti più utilizzati nello sport.
Prescritto normalmente per curare la magrezza costituzionale, la denutrizione e la fragilità delle ossa, soprattutto negli anziani, viene invece utilizzato dagli sportivi per “gonfiare” i muscoli e fare fronte, in questo modo al “catabolismo”, cioè alla distruzione della massa muscolare dovuta agli allenamenti intensi.
La presenza del Nandrolone nelle urine è misurata attraverso l’identificazione di due metaboliti, il 19 NA e il 19 NE, che sono il prodotto finale della degradazione della sostanza nell’organismo. E’ ancora controverso dal punto di vista scientifico se l’uomo possa produrre in via endogena il Nandrolone. Una minima quantità di questa sostanza è stata rilevata nelle urine delle donne incinte. Ma si tratta di entità minime: da 1 a 2 nanogrammi (un nanogramma = un miliardesimo di grammo).
Molto recentemente il Dott. Louis Dehennin, che già aveva evidenziato la possibilità di rintracciare Nandrolone nelle donne in stato di gravidanza, ha constatato che tracce di Nandrolone potrebbero trovarsi anche nell’uomo. Per questo, anche se al momento i regolamenti del CIO non prevedono un “barrage”, cioè che la positività venga legata al superamento di una certa quantità rilevate nelle urine, i laboratori internazionali di controllo antidoping hanno trovato una sorta di “gentleman agreement”, per cui si considera “positivo” l’atleta nelle cui urine la concentrazione dei metaboliti del Nandrolone superi i 2 nanogrammi.
Negli ambienti sportivi c’è l’opinione che questa sostanza non sia particolarmente dannosa per il fisico umano. Ma è un’impressione sbagliata: il Nandrolone rischia di provocare oppure di accentuare (se ereditaria) la tendenza al diabete; provoca, inoltre problemi al sistema cardiovascolare, delle disfunzioni al pancreas oltre che a “mascolinizzare” marcatamente l’aspetto delle donne.