Il medico inglese William Harvey, agli inizi del 1600, aveva messo in risalto il rapporto tra l’esperienza della paura, dell’attesa e del dolore e uno squilibrio di tipo psicosomatico che danneggiava il cuore.
Alla fine del XIX secolo Charles Darwin nel libro “L’espressione delle emozioni nell’uomo e nell’animale” descriveva le reazioni somatiche, tanto degli uomini che degli animali, rapportandole alle esperienze emozionali.
L’antesignano dello studio dello stress così come lo intendiamo oggi, ma che ancora non si chiamava così, fu Walter Cannon, fisiologo americano, precursore anche degli studi su fame e sazietà, che descrisse dettagliatamente all’inizio del XX secolo. Cannon usò per queste reazioni la definizione di reazione di attacco o fuga (fight or fly). Quando la situazione pericolosa è superata, le condizioni fisiologiche tornano alla normalità, con un passaggio alla fase di riposo e digestione (rest and digest). In sintesi si tratta di una valutazione rapida e “primitiva” di una minaccia nei confronti dell’organismo, che ha come immediata conseguenza l’attivazione del sistema nervoso autonomo, che a sua volta innesca un comportamento atto a fronteggiare la situazione con la fuga o un altro atteggiamento comunque atto a far fronte al pericolo. Cannon introdusse anche il termine “omeostasi” per designare l’organizzazione delle risposte automatiche volte a mantenere la stabilità dinamica dell’organismo.
Cannon ha avuto il merito di introdurre il concetto di “reazione di allarme” intesa come una risposta immediata di tipo neuro-endocrino a uno stimolo stressante. Più tardi egli introdusse anche il concetto di “livello critico dello stress” inteso come il massimo livello di stimolazione che un organismo può tollerare prima di rispondere ad esso in maniera abnorme.
Il vero padre degli studi sullo stress deve comunque essere considerato il Medico Fisiologo Hans Selye, nato a Vienna nel 1907 e successivamente trasferitosi a lavorare il Canada. Il suo primo lavoro sullo stress risale al 1936. Egli stava effettuando ricerche per isolare un nuovo ormone sessuale ed osservò che animali da esperimento a cui venivano inoculate estratti di tessuti non purificati reagivano in modo comune, con una sindrome caratterizzata da ipertrofia corticosurrenale, atrofia del timo e delle ghiandole linfatiche.
Dopo una serie di studi che durò più di vent’anni Selye notò che la stessa sindrome si verificava anche in conseguenza di una notevole serie di stimolazioni stressanti che potevano essere di natura totalmente diversa, biologica, chimica, fisica, sociale o psicologica. Definì quindi lo stress come “una risposta biologica non specifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso. Lo stress è una risposta essenziale per la vita, la completa libertà dallo stress è la morte. Contrariamente a quanto si possa pensare, non dobbiamo e non possiamo evitare lo stress, ma possiamo andargli incontro in modo efficace traendone vantaggio, imparando di più sui suoi meccanismi, e adattando ad esso la nostra filosofia dell’esistenza”.
Definì quindi “Sindrome Generale di Adattamento” la somma di tutte le reazioni sistemiche dell’organismo conseguenti ad una prolungata esposizione a stress sistemico. Tale reazione è utile e finalizzata all’adattamento dell’organismo alle richieste dell’ambiente, e che solo in tempi successivi può favorire il rischio di malattia e diventare patogena.
Hans Selye ha posto l’accento prevalentemente sugli aspetti biologici-somatici.
Richard S. Lazarus, Psicologo, ha in seguito prevalentemente elaborato il problema dello stress psicologico.
L. John Mason si è interessato degli aspetti psicobiologici dello stress.
Lo Psichiatra italiano Paolo Pancheri ha cercato di integrare gli aspetti biologici-comportamentali.
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Gli sviluppi più attuali del concetto di stress hanno portato vari autori a vedere lo stress come un’ampia reazione biologica-comportamentale finalizzata alla conservazione della vita e conseguenza di un processo di selezione naturale.
Lo stress è causato non solo da sforzi fisici intensi e da fattori avversi come il freddo, il caldo, la fame o gli eccessi alimentari, ma anche da fattori psicosociali, tratti della personalità, aspettative proprie ed altrui, competitività, incapacità a fronteggiare piccoli e grandi problemi della vita quotidiana. E ancora da abitudini, stili di vita, credenze.